sabato 8 gennaio 2011

we were soldiers. we are dust now.

Non è che voglia sembrare il solito cinico del cazzo, e non ho assolutamente niente contro l'ultimo (solo in ordine di tempo) dei militari morti in Afghanistan. Solo che, ogni tanto, uno arriva fino all'ultima parola di un articolo di giornale trattenendo a stento il vomito. Più del solito intendo. Il problema è che ormai sono diventato intollerante alle stronzate. Stronzate come la storia della "missione di pace" o dei "sacrifici per la pace". Sono dieci anni che gli americani hanno occupato l'Afghanistan e ancora a Kabul non si riesce a trovare un McDonalds. Sono allibito. Più di quanto non lo sia La Russa di fronte ad uno specchio.
Alcune precisazioni per quelli rimasti distratti dall'ultima eclissi del Tg1: in Afghanistan si svolgono quotidianamente operazioni di guerra. Lo dico per quelli che ancora credono che i miliari della NATO vadano in giro casa per casa come i presentatori della Folletto, mostrando alle casalinghe afghane le favolose qualità dell'ultimo modello di democrazia ciclonica senza sacchetto. Secondo: un soldato muore in guerra perché è il suo lavoro. Non è una cosa inaspettata, improvvisa, sconvolgente. Quando uno si arruola, e ha anche lo sghiribizzo di andarsene in missione, si prefigura (o almeno dovrebbe, se ha terminato con profitto la 5° elementare) l'ipotesi che qualcun'altro, dello schieramento avverso, prima o poi, gli possa sparare addosso o piazzare una mina sotto al culo. Altrimenti a cosa sarebbero servite tutte quelle ore ed ore di addestramento passate ad esercitarsi con il fucile d'assalto e a subire atti di nonnismo? Non di certo a diventare imbattibile ad Halo. Fare il soldato è  un po' come fare la puttana.  Passi molto tempo a camminare su e giù per una strada, puoi masticare la gomma con la bocca aperta, e vai a dormire ogni sera in un posto diverso. La paga è buona ma devi mettere in preventivo anche qualche rischio. Ad esempio puoi beccarti una mina o una malattia venerea. (Per le puttane niente mine ma rischiano che gli venga in bocca un parlamentare).
Quello che voglio dire è che per un soldato, essere colpito a morte da un cecchino o venire spappolato da una mina è tutto tranne che un cazzo di incidente sul lavoro. Un soldato non è Yossuf il carpentiere in nero che vola giù da un'impalcatura nel bergamasco. E non è nemmeno Giuseppe l'operaio che brucia vivo dentro una acciaieria che taglia sui costi della sicurezza.Il soldato è un mestiere che se la parola evoluzione della specie umana significasse davvero qualcosa, non dovrebbe più esistere. Per essere una specie veramente evoluta dovremmo avere meno soldati e più trombettisti jazz. Pensateci un attimo: il ministro La Russa che dice in tv: "abbiamo dovuto aumentare il contingente  italiano di trombettisti jazz di altre 500 unità perché non riuscivamo a far arrivare le note di 'blue in green' fino alle vette dell'Hindukush".
Un ultimo pensiero lo dedico all'arcivescovo Vincenzo Pelvi e al suo meraviglioso intervento fatto durante la funzione funebre. Il buon Pelvi, ha detto: "Molti chiedono perché ci ostiniamo ad esporci in terre così pericolose, ma allora non si potrebbe rimproverare anche a Gesù di aver cercato la morte, affrontando deliberatamente coloro che avevano il potere di condannarlo?"
Caro arcivescovo, cosa dire di questo suo sublime parallelismo? Un "vada affanculo", forse, non è all''altezza di cotanta eloquenza. Da semplice appassionato di capelloni dalle idee rivoluzionarie e pacifiste, mi permetto di far notare che mi risulta difficile ipotizzare che Gesù abbia mai pensato ad una "missione di pace" in mimetica e M4. Nonostante ciò sono  abbastanza sicuro che, se fosse vivo ai nostri giorni, il mite e amorevole Gesù avrebbe sicuramente fatto un'eccezione alla sua filosofia dell'amore per venire da lei, caro arcivescovo, e infilarle un cammello su per il culo. Perché è più facile che un cammello passi attraverso il culo dell'arcivescovo Pelvi che la gente cominci a dire basta alle guerre.
Peace. Always.
[illustrazione di Mario Perrotta]

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